Inizia questa avventura
Tutto sembrava iniziare come una giornata normalissima.
Sorgeva il sole, io mi svegliavo ed il mondo era sempre là fuori con i suoi rumori. Con il suo caos che riempiva le piazze. Non avevo idea di cosa mi aspettasse tra quelle mura. Fino ad allora avevo sentito solo un nome “casetta”. Eppure bastava così poco per capire cosa ci fosse là dentro.Vi siete mai soffermati a riflettere sul significato del vocabolo “casa”? Pensateci un attimo.
Casa è sinonimo di calore intenso, di famiglia, di accoglienza. Di abbracci, di arduo impegno quotidiano, di vita vissuta insieme ad altri esseri che come te ogni giorno si svegliano. Cercano di dare il loro senso alla vita. Appena entrata in “casetta Ibiscus ”, la prima voce che sentii fu la voce di un bambino di nome Vincenzo.
Prime ore da volontaria
Come descrivere le prime ore da volontaria ad IBISCUS? Preferisco parlarne dando voce in capitolo a questo piccolo ometto che incontrai quel giorno. Vincenzo fu per me come quando per la prima volta da bambini ti aprono un libro di favole, volete sapere il perché?
Perché così come nelle favole l’autore inizia a descrivere i protagonisti, il loro modo di essere e ciò che sognano, anche Vincenzo in quanto autore della sua stessa vita iniziò la sua presentazione davanti ai miei occhi. In quel momento fu come se la mia stessa vita avesse un nuovo incipit.
Prima di partire per questa meravigliosa avventura, immaginavo tutto in maniera differente, pensavo che i bambini soffrissero di più lo status della malattia, ed invece mi rallegrai nel vedere quanta forza essi impiegano affinché la loro malattia non intralci la loro quotidianità, le loro aspettative, i loro sogni.
Vi presento i guerrieri
Vincenzo l’architetto
Percepii subito in Vincenzo l’esigenza spudorata di far vedere la sua come una vita normalissima. Ed ecco che con una sua frase la mia concezione di normalità con la quale quella mattina mi ero svegliata cambiò totalmente. Il dialogo fu questo “Vincenzo, tu cosa vuoi fare da grande?” e lui mi rispose testuali parole “Non perché sono malato, ma io vado a scuola e da grande voglio fare l’architetto”.
Non so nemmeno io come lì per lì non piansi. Forse perché dentro di me capii che la prima lezione di vita Vincenzo me l’avesse data in quello stesso istante. Facendomi capire indirettamente che era inutile che io versassi lacrime, tanto lui lotta ogni giorno. Sa che andrà avanti pieno di forze e di animo.
Venne così fuori uno dei motivi per i quali iniziai il percorso da volontaria. Rivalutare l’essere umano in ogni suo aspetto più profondo dando il mio impegno quotidiano come mano attraverso la quale plasmare quotidiana felicità nella maniera più semplice.
Io entrai da quella porta con una grande aspettativa. Ed ero più che convinta che l’avrei trovata tra gli sguardi di quei grandi e piccoli guerrieri che ogni giorno lottano per viverla la vita. Non come altri che ormai ci convivono riempiendola di superflui soffi.
Io là dentro iniziai a capire cosa significare respirare la vita a pieni polmoni, ed è per questo motivo che decisi di continuare il mio percorso; entravo in casetta priva di pensieri per poi riempire il mio bagaglio di forte emozioni!
Cristina e la sua pera
E fu così che andando avanti conobbi anche Cristina!
Cristina sa di pasta al forno, di lasagne, di pere, di kinder pinguì. Cristina sa di tavola apparecchiata in un focolare domestico. Lei ha la curiosa abitudine di associare la sua dolcezza ed il suo affetto al cibo. Credetemi non esiste gioia più grande per noi volontari nel sentirci dire “ciao bella lasagnetta”!Mi viene da citare quando penso a lei, uno dei libri che ho riletto da adulta e che mi ha commosso molto. Il titolo è “Il piccolo principe”.
Mi viene da pensare proprio a Cristina perché così come il piccolo principe chiede ad un adulto di disegnargli una pecora, lei a me chiese un giorno di disegnarle una pera. Sembrano gesti semplici, ma quando una bambina ti guarda mentre le stai dedicando del tempo ed è lì che aspetta la sua pera, tu in quel momento non sei più un adulto. Diventi la sua mano per la fantasia, il suo pennello per evadere e per lottare contro la monotonia.
La mascherina ibiscus
Una cosa mi stupì molto quando iniziammo a giocare con Cristina, indossammo per la prima volta la mascherina, in quanto la bambina aveva i valori bassi. Il primo pensiero che mi venne in mente fu “ E adesso che le dico alla bambina se dovesse chiedermi qualcosa?”. Fui una sciocca a pensarlo, perché non presi subito atto del fatto che per lei non fosse inconsueto.
Lì mi accorsi che in realtà quella mascherina fosse un corpo estraneo a me stessa. Capii che per rendere tutto più semplice dovevo indossarla, solo così sarei pienamente entrata nella normalità che la bambina vivesse ogni giorno lottando per essere se stessa nonostante tutto.
E lì anche Cristina, mi insegnò qualcosa. Non è di certo il margine della malattia a far perdere al tuo essere la possibilità di manifestarsi in ogni occasione per dar vita ad emozioni variopinte prive di cornici.
Miriam e le sue polpette
Un pomeriggio arrivai in casetta e trovai un batuffolo di morbidezza chiamata Miriam. Miriam è una bambina molto introversa ad impatto, ma stupendamente solare quando sbarra gli occhi! Ha due luci in fondo alle pupille e quando ti prende le mani emana un calore che solo chi ha tenuto bambini tra le sue braccia può conoscere e percepire.
Quando per la prima volta dopo svariati tentativi decise di prendermi la mano. Sentii il cuore scoppiare di gioia per non parlare della prima volta che le sentii pronunciare il mio nome “ciusi”. Lì nell’ animo una lacrima di felicità scese. Piena di vita e vivace come non mai, iniziammo a scappare tra i corridoi della casetta. Ed io lì citando il grande Ungaretti “ mi illuminai d’immenso”. Essere tra mani innocenti è uno dei doni più belli che ci è concesso. Perché è lì che ti senti libera di essere te stessa.
E poi vederle mangiare le polpette con tanta allegria, come può passare inosservata? No una bimba come lei non passa inosservata.Un pomeriggio mentre giocavamo con un palloncino per la prima volta le sentii esclamare “ oh oh” . Come se avesse combinato un guaio!! Lì non so perché, iniziai a pensare a come il guaio pur avendolo dentro di se quella bambina lo esternava fuori con un sorriso che può far invidia anche al sole.
Una bambina molto espressiva, con i suoi gesti intuisci cosa o meno le piace. Una volta portando il ditino alle tempie ci fece segnale come se fossimo dei pazzi noi volontari.Questa voglia di comunicare la rende speciale e soprattutto la rende forte davanti a chiunque e davanti a qualunque cosa.
Ilary e le sue opere d’arte
Ed ecco che poi passammo il test anche con un’altra bambina ed il suo nome è Ilary. La forza di questa bambina è indescrivibile. Indomabile spirito libero riesce sempre in tutte le maniere a trascinarti, a farti misurare con te stessa, a metterti in gioco! Una sua frase tipica è “pensaci tu al tuo disegno, usa la tua fantasia”. Come se quasi fosse lei ad incitare te a dare sempre il meglio.
Una bambina tenace, forte ma che se riesci a saperla prendere trasmette tanta tenerezza. Un suo abbraccio è come una grande conquista. Non è facile entrare nelle sue lodi. Trasmette i suoi ideali in qualunque attività che si accinge a fare, ha carattere da vendere. Canta benissimo ed è una presenza da palcoscenico da ammirare in tutto il suo splendore una vera e propria “malafemmina” . Creativa ed intelligente,nelle sue mani tutto prende forma.
Giovanni e motori
Tra i bambini ho anche avuto anche il piacere di conoscere Giovanni, un ragazzo di 16 anni. Ecco proviamo soltanto ad immaginare la nostra vita a 16 anni. Problemi adolescenziali, crisi esistenziali. E’ un’età in cui non si riesce a capire ciò che si vuole dalla vita ma… per la prima volta conobbi un giovane che sapeva perfettamente cosa volesse, nei suoi occhi si legge una frase “IO NON MI ARRENDO”.Questo messaggio lo percepisco ogni qual volta che guardandolo e chiedendogli come va lui risponde sempre “ TUTTO APPOSTO”.
Ecco anche lui nonostante abbia con la malattia un approccio diverso essendo più grande, trasmette voglia di fare. L’ho sentito parlare di musica, di motori in merito alle diverse patenti che volesse prendere. Dimostra di essere se stesso ogni giorno nonostante tutto ed è forse uno tra i tanti che vive la situazione in maniera più cosciente. Ma ciò nonostante ha carattere e sa che potrà raggiungere i suoi obiettivi.
Tutto sembra vedere negli occhi di questi bambini e ragazzi, tranne che smarrimento o paura. Sono fuochi d’artificio in una notte al buio. Per chiunque decida di seguirli nel loro cammino saranno luce che aprirà le porte dell’animo.
Famiglie, medici, consiglio e volontari del Policlinico
Le loro famiglie non sono da meno, aprono la porta a noi volontari con quelle pupille piene d’impegno quotidiano. Ma allo stesso tempo con i loro sorrisi ricchi di umiltà e di speranza.
In conclusione, quando entro in casetta Ibiscus, io mi sento a casa. Ed è per questo che non parlo di malattia ma di sogni. La malattia in casetta Ibiscus diventa il margine attraverso il quale misurare la forza per combattere per i propri sogni.
Vi ho parlato della casa dei guerrieri situata al Policlinico di Catania. Dove noi volontari, il presidente, tutti i membri del consiglio e lo staff medico viviamo e lottiamo insieme alle famiglie. Ci dedichiamo alla ricerca e alla cura dei bambini.
Vi invito a vivere nella nostra casa